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Come
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notiziario
mensile parrocchiale
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TU
NON SEI UN DIO DEL MALE
Ma tu non ami la morte
Tu sei venuto fra noi
per mettere in fuga la morte
per snidare e uccidere la morte.
Anche
a te la morte fa male
per questo sei amico
di ognuno segnato dal male:
e ogni male tu vuoi
condividere …
***
Solo
un abbaglio, o equivoco amaro
– quando non sia stoltezza –
fa dire di te che sei
la «divina Indifferenza».
David
Maria Turoldo
Canti ultimi, Milano, Garzanti 1991, p. 125
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MEMORIA
MORTIS
Si
rinnova in questo novembre la memoria dei defunti. Per un breve
tempo, almeno il tempo di una visita al Cimitero, l’evento della
morte attraversa la nostra esistenza. E vorrei condividere con
voi i pensieri che mi accompagnano in questi giorni. Non voglio
parlare di programmi, iniziative, cose da fare: più importante
in questi giorni è fare quella memoria mortis che la Chiesa
un tempo chiedeva al cristiano di fare nella sua giornata. E questo
avveniva, spesso in forme cariche di terrore, ma avveniva. Oggi,
invece, è caratteristica del nostro tempo la rimozione di questa
memoria mortis, di questo evento del morire. In molti modi.
Pensiamo al progressivo abbandono di qualsiasi segno esteriore
di lutto; pensiamo all’allontanamento di coloro che si incamminano
verso la morte verso luoghi sempre più distanti da quelli della
vita di ogni giorno. Certo decisive ragioni terapeutiche favoriscono
questa sorta di cordone sanitario che isola malati, anziani, morenti.
Ma non v’è dubbio che in noi vi sia un disagio profondo a misurarci
con la morte.
Forse il segno più chiaro è la incapacità a parlare di morte,
a preparare alla morte coloro che ad essa sono vicini. E infatti
le cosiddette ‘pietose bugie’ sono le uniche parole che sappiamo
dire. Ai nostri figli siamo giustamente preoccupati di far conoscere
tutto quanto riguarda il sorgere della vita, senza finzioni, mentre
abbiamo una gran paura a far loro apprendere l’esperienza del
morire. Attorno alla morte la congiura del silenzio. Non meravigliamoci
se i nostri ragazzi sono fragili di fronte alle prove, incapaci
di affrontare fatica e dolore. L’esperienza della condizione finita,
mortale dell’esistenza è una via necessaria per crescere nella
responsabilità e nella solidarietà.
La
memoria dei nostri morti rivela e in un certo modo anticipa il
nostro morire. La morte d’altri, dei nostri cari, che in questi
giorni almeno nel ricordo ritorna è già in qualche misura il nostro
morire. Chi di noi non ha fatto l’esperienza del silenzio che
scende in noi con la morte di altri, in particolare di una persona
cara? È la dura esperienza di un dialogo ormai impossibile, la
sofferenza perché ormai nessuna comunicazione è, come prima, praticabile.
Non a caso tante persone tentano, con ogni mezzo, di comunicare
con chi non è più tra noi. Con il silenzio di chi muore e con
il quale non potremo parlare più, la morte dell’altro penetra
in me spezzando questa appartenenza reciproca. La morte dell’altro
rivela, spezzandola, una comunione di vita che ora non è più possibile
come prima.
Ma allora la morte svela il senso profondo della vita, svela una
appartenenza reciproca, una comunione di vita che appunto la morte
interrompe. Il vuoto che la morte di altri apre in me è il segno
di un legame, di una reciprocità, di un comune destino. Rendersi
insensibili alla morte d’altri che già ora segna la mia voglia
di vivere, vuol dire negare questa appartenenza, negare che il
significato del vivere va cercato non nella distanza o nella separatezza
ma nella comunione. Una comunione che già qui e ora nei nostri
brevi anni siamo chiamati a costruire, una comunione che nella
fede conosciamo come promessa irrevocabile.
L’evangelo
di Giovanni riferisce che di fronte al sepolcro dell’amico Lazzaro
Gesù scoppia in pianto, tanto da far dire alla gente: “Vedi come
lo amava”. Per questo il pianto di Gesù per l’amico morto è un
segno rivelatore. Non è solo indizio di una emozione psicologica
che è di tutti noi. È manifestazione di un Dio partecipe e vulnerabile,
ben lontano da quella “divina Indifferenza” di cui parla padre
Turoldo nella poesia di copertina. Quanto distante dalle divinità
impassibili così descritte da Omero: “Gli Dei liberi da ogni cura,
al pianto condannano il mortale”. Non così Gesù, vulnerabile fino
al pianto, quel pianto che lo scuoterà pochi giorni dopo quando
sarà di fronte alla sua morte imminente nell’Orto degli ulivi,
quando chiederà d’essere liberato da quella morte. Anche noi stiamo
di fronte alla morte che ci ha strappato o ci strapperà come un
ladro il tesoro di un volto, di una presenza.
Ma che cosa vuol dire credere quando si è di fronte alla morte?
È come tendere le braccia e al di là delle esitazioni e delle
paure afferrare la mano di Dio che sappiamo definitivamente tesa
verso di noi.
Credere vuol dire poter ripetere le parole di Gesù morente: “Padre
nelle tue mani affido la mia vita”. La fede è la certezza di questa
mano tesa verso di noi, è la confidenza che ci porta ad affidarci
ad essa, è la pace che nasce dal fondo del nostro essere e che
dissolve le paure e le ansie. Tra le esperienze più ardue e insieme
più consolanti vi è certamente quella di accompagnare chi è incamminato
verso la sua morte. Quando non vi sono più risorse per la scienza
medica vi è ancora molto da fare. Si può, anzi si deve stare accanto,
accompagnare, tenere la mano, stringere la mano di chi si appresta
a lottare con la grande tribolazione del morire. Come se lo si
volesse condurre con tutta sicurezza perché superi le paure e
non sia angosciato dalla solitudine.
Davvero felici coloro che hanno potuto sperimentare il miracolo
di pace che può compiere una mano amica che tiene la nostra mano
in un momento in cui ogni parola è inutile. Ma se già la fragile
mano dell’uomo può operare un tale prodigio in forza della tenerezza
di colui che stringe la nostra mano, che cosa non potrà fare la
mano potente e misericordiosa di Dio se sappiamo afferrarla e
stringerla? La fede è la certezza di questa mano irrevocabilmente
rivolta verso di noi.
don
Giuseppe
PROSSIMO
APPUNTAMENTO DELLA
CATTEDRA DEL CONCILIO
nell’Anno della Fede
nella memoria del card. Martini
21 novembre 2012
Chiesa e dialogo
Enzo Bianchi
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È
una bella pratica accendere un cero al Sacro Cuore,
al Crocifisso, alla Madre del Signore e ai santi.
Segno di devozione che dura anche quando abbiamo lasciato la Chiesa.
Saranno disponibili ceri di una sola misura e ognuno offrirà liberamente
abolendo così le tariffe diverse per i ceri grandi e per quelli
piccoli.
È bene che l’offerta del cero sia sempre accompagnata da una preghiera.
CONCILIO
ECUMENICO VATICANO SECONDO
Riportiamo la seconda parte
della lezione di don Saverio Xeres per la Cattedra del Concilio.
Il testo, cortesemente trascritto dal sig. Bruno Natali, che ringraziamo,
mantiene lo stile parlato e non è stato rivisto dall’Autore.
Nella
prima parte abbiamo illustrato la seconda parte del titolo del
Concilio: Vaticano secondo. Vediamo ora il significato dei primi
due termini: Concilio ecumenico. Tutti i concili si definiscono
ecumenici, ossia universali anche se la loro composizione risulta
piuttosto limitata. Il Vaticano II, per la prima volta nella storia,
di fatto, è stato ecumenico anche nella composizione (tutti i
vescovi, o quasi; di tutti i continenti e di tutte le razze).
È chiaro che questo evidentemente è di nuovo una apertura sulla
modernità. Il mondo non è più solo l’Europa, il Medio Evo, il
Mediterraneo. L’oicumene per la prima volta è il mondo intero:
anche solo questo fatto proietta il Concilio su una dimensione
storica assoluta.
E
infine: Concilio. Che cos’è un Concilio? Il Concilio è
una delle istituzioni più antiche della Chiesa. Ufficialmente
nasce nel quarto secolo, col Concilio di Nicea del 325, sebbene
anche prima ci fossero state delle esperienze locali. Praticamente
è un incontro in vista di un consenso. Il termine latino concilio
non rende bene il significato di questa convocazione. Meglio il
termine greco sinodo, che è un sinonimo di concilio. Sinodo è
parola bellissima, perché odos vuol dire strada, sun vuol dire
insieme, e quindi: “ strade che convergono”. Quindi il Concilio
è un crocevia, cioè tutte le Chiese locali o particolari, le diocesi
rappresentate dalla propria guida che è il vescovo, si incontrano
per affrontare insieme problemi che investono l’intera Chiesa
e per ripartire dopo aver trovato una linea comune. È molto bella
l’idea che la fede, il patrimonio della tradizione – che è essenzialmente
Gesù Cristo – si trasmetta, ma attraverso l’esperienza vissuta
delle diverse Chiese che si incontrano e insieme ricercano una
più grande fedeltà al Signore.
Ma poiché le Chiese vivono nel tempo devono “aggiornare la Parola”,
non nel senso di un nuovo Vangelo ma nella ricerca di linguaggi
nuovi capaci di trasmettere la parola che non passa. Aggiornamento,
parola comune nella storia della Chiesa, non vuol dire cambiamento,
ma riformulazione di quell’unico e immutabile patrimonio che è
Gesù Cristo, compreso più profondamente. È un ripensamento continuo
reso necessario dal mutare delle condizioni storiche nelle quali
la Chiesa vive. Questa è l’esperienza dei Concili: tutti i vescovi
riuniti, col vescovo di Roma, che è custode della comunione ecclesiale,
che insieme si interrogano per per capire sempre meglio Gesù Cristo.
La sua Parola ben più grande di tutte le nostre parole chiede
un permanente esercizio di comprensione per esprimerne la bellezza,
la profondità e questo nei linguaggi mutevoli delle diverse stagioni
della storia.
Aggiungo
una precisazione: si dice che il Concilio Vaticano II è un Concilio
pastorale e per taluni questo vuol dire un Concilio non dottrinale,
che non avrebbe in maniera significativa affrontati problemi teologici,
dottrinali. Chi pensa così tende a svalutare la portata innovativa
del Vaticano II. Nell’intenzione di Papa Giovanni XXIII, l’aggettivo
‘pastorale’ usato per il Concilio vuole esprimere l’intenzione
profonda del Concilio: la ricerca di modi nuovi perché la Chiesa
possa parlare al mondo di oggi: questo è il compito della Chiesa.
La dimensione pastorale della Chiesa e del suo insegnamento è
questo: cercare le vie perché oggi si capisca e si viva il Vangelo.
È semplicemente questo! Ma questo è il compito della Chiesa di
sempre. Allora se è così, necessariamente, il Concilio segna una
svolta. Il grande teologo francese Yves Congar diceva: «Il Concilio
è un avvenimento perché porta la Chiesa a fare un passo avanti».
Faccio due esempi. Tutti conosciamo quella sintesi della Fede
che si chiama “Simbolo niceno costantinopolitano” (perché è il
frutto del lavoro svolto dai Concili di Nicea e di Costantinopoli
nel quarto secolo). Questo Simbolo approfondisce il tema del Dio
che ci è stato rivelato da Gesù Cristo, Dio che è Spirito Santo,
amore. Ci sono voluti due Concili per esporre chiaramente questo
nucleo fondamentale della nostra fede che non era certo facile
esprimere con parole. E poi ci sono voluti altri due Concili tenuti
ad Efeso e a Calcedonia, dove si stabilisce e si chiarisce il
rapporto tra umanità e divinità nella persona di Cristo: Dio ha
condiviso in tutto la nostra vita, in tutto, compresa la morte,
la sofferenza, la solitudine. Quindi posso trovare Dio tutte le
volte che vivo queste esperienze di vita. Poi abbiamo avuto Concili
meno importanti sul piano della formulazione della fede: nel Medio
Evo i Concili si sono occupati delle Crociate, dell’insorgere
di gruppi ereticali, e dei difficili rapporti di potere tra il
Papa e l’Imperatore. Invece gli ultimi tre Concili, Trento, Vaticano
I e Vaticano II, sono quelli che hanno dato un importante contributo
dottrinale ma insieme esprimono questo atteggiamento della Chiesa
che si rimette in questione davanti a cambiamenti profondi della
società, in particolare, per il Concilio di Trento, la Chiesa
che si misura con la Riforma protestante. Una ultima questione
ancora a proposito del Vaticano II. Taluni dicono che il Concilio
Vaticano II ha tradito, interrotto la tradizione della Chiesa.
Quindi se si aderisce al Vaticano II non si è più cattolici. Il
maggior esponente di questa posizione è un vescovo, Lefebvre,
che purtroppo è incorso nella scomunica. Vorrei leggere qualche
passaggio tratto dai testi del vescovo Lefebvre:
«Il Vaticano II è stato la più grave tragedia che mai abbia
subìto la Chiesa […] Allorché il concilio ha innovato, ha scardinato
la certezza delle verità che il magistero autentico della Chiesa
insegna appartenere definitivamente al tesoro della Tradizione»
(1966).
E poi conclude: «È
per conservare intatta la fede del nostro battesimo che abbiamo
dovuto opporci allo spirito del Vaticano II e alle riforme che
esso ha ispirato. Il falso ecumenismo, che è all’origine di tutte
le innovazioni del concilio, nella liturgia, nelle nuove relazioni
tra la Chiesa e il mondo, nella concezione stessa della Chiesa,
conduce la Chiesa alla propria rovina e i cattolici all’apostasia.
Radicalmente contrari a questa distruzione della nostra fede e
risoluti a perseverare nella dottrina e nella disciplina tradizionale
della Chiesa [vogliamo] premunirci contro lo spirito del Vaticano
II e lo spirito di Assisi [...] Continueremo a pregare affinché
la Roma moderna, infestata di modernismo, torni ad essere la Roma
cattolica e ritrovi la propria tradizione bimillenaria»
Questo diceva il vescovo Lefebvre.
Altri
dicono che il Vaticano II è sì un Concilio e quindi va rispettato,
però è un Concilio di serie B, perché è pastorale, ma poi soprattutto
perché ci sono dei punti in esso che non corrispondono alla tradizione
della Chiesa.
Roberto De Mattei, che si considera uno storico, si appella al
papa dicendo: «Caro Papa, deve fare qualcosa per valutare quanto
del Vaticano II corrisponde alla tradizione e quanto no. Facciamo
una bella cernita». Altri come Gherardini e Lanzetta, un giovane
francescano, pur riconoscendo l’autorità di questo concilio, ritengono
che se ne debbano escludere alcuni contenuti ad esempio la libertà
religiosa; l’apertura alle altre religioni, ecc., perché queste
posizioni non sarebbero in continuità con la Tradizione. Queste
posizioni sono inaccettabili! Il Vaticano II è un Concilio Ecumenico
quindi è un soggetto di tradizione che il Concilio porta avanti,
attua, modifica, aggiunge, integra, ripensa. Il Concilio ecumenico
gode di una autorevolezza che nessuno, neanche il Papa, può negare
o mettere in discussione o selezionare scartandone alcune parti.
Concludo
riprendendo il titolo della nostra conversazione: abbiamo sottolineato
che questo Concilio non è la continuazione del Vaticano primo,
ma è il Vaticano SECONDO, quindi un nuovo Concilio. Il titolo
VATICANO evoca la dolorosa chiusura del papa dentro la sede vaticana
a seguito della ‘Presa di Roma’ e quindi i difficili rapporti
con la modernità. ECUMENICO perché apre a tutta la storia della
Chiesa e infine CONCILIO. Questi quattro termini si riassumono
nel primo. Basta dire CONCILIO.
Un mio collega, persona di grande capacità e competenza, mi ha
detto: «Stai attento perché tu come tanti altri dite “il Concilio”,
mentre bisogna dire “il Vaticano II” perché di Concili ce ne sono
stati tanti». È vero questo, però, in fondo possiamo dire che
quest’ultimo possiamo davvero chiamarlo “il Concilio”, perché
è il nostro Concilio, quello nel quale è arrivato a termine tutto
il movimento ecclesiale e teologico del Novecento.
È “il Concilio” perché questo è il Concilio del nostro tempo,
di tutta l’epoca moderna nella quale noi ancora viviamo, quindi
è il nostro Concilio.
È “il Concilio” perché per la prima volta è il Concilio di tutto
il mondo.
È “il Concilio” perché fa capire questo senso della tradizione
che continuamente si sviluppa, si aggiorna, è un elemento dinamico,
vivo, vitale, che cambia, che trasforma continuamente.
Quindi possiamo dire che il Vaticano II non è l’unico Concilio,
ma certamente come Concilio è unico.
TERZO
INCONTRO
DELLA CATTEDRA DEL CONCILIO
nell’Anno della Fede
nella memoria del card. Martini
15 gennaio 2013
Chi è la Chiesa?
card. Angelo Scola
|
AL
VIA LA FASE 2
DEL FONDO FAMIGLIA E LAVORO
L
Il nostro Decanato ha dato l’avvio alla seconda fase del Fondo
Famiglia Lavoro. Lanciato nel Natale 2008 dal cardinale Dionigi
Tettamanzi, il Fondo ha raccolto fino ad oggi 14 milioni di euro
coinvolgendo più di 600 volontari, che hanno accolto e accompagnato
le famiglie che hanno chiesto aiuto, garantendo continuità alla
struttura organizzativa.
Il
Fondo Famiglia Lavoro intende aiutare famiglie e persone italiane
e straniere cha abitano nel territorio della Diocesi Ambrosiana,
in difficoltà, per mancanza o precarietà del lavoro a causa della
crisi economica.
I destinatari devono risultare ad oggi privi di occupazione, essere
disoccupati di breve periodo (luglio 2011) e abbiano un figlio
a carico.
Gli
operatori dei Distretti dovranno incontrare, nelle proprie sedi,
le persone che rispondono ai requisiti richiesti attraverso un
colloquio finalizzato alla conoscenza del-l’esperienza lavorativa
e della situazione economica del nucleo familiare, per poter proporre
un percorso il più possibile personalizzato di riavvicinamento
al mondo del lavoro o di sostegno economico.
Ci
sono tre possibili opzioni di intervento: formazione, microcredito
o erogazione a fondo perduto. Quelli che risulteranno idonei al
percorso di orientamento/formazione, che durerà circa sei mesi,
riceveranno un’indennità economica. Per gli interventi di microcredito
verrà valutata la sostenibilità di prestiti personali finalizzati
alla realizzazione e al sostegno di attività economiche fino ad
un massimo di 10mila euro. Per gli interventi a fondo perduto,
la segreteria del Fondo valuterà l’entità dell’elargizione e le
modalità dell’erogazione stessa.
Le
persone interessate possono rivolgersi al proprio parroco o al
centro di ascolto Caritas più vicino per un colloquio.
Gli
interventi si concluderanno il 31 dicembre 2012.
IL
RAGAZZO DELL'INVITO
Ogni
volta che dicono che i cristiani sono un po’ antipatici perché
sembra che a tutti i costi ti vogliano invitare a una loro iniziativa,
rimango perplesso. Da una parte mi verrebbe da pensare che le
iniziative sono delle buone occasioni per chiamare un po’ di persone,
per convocare e riunire anche chi di solito è restio a partecipare
a degli incontri; dall’altra è vero che il cristiano può sembrare
agli occhi di molti quello che ti invita alla sua iniziativa senza
un preciso motivo. E l’errore non sta nell’invito, sia chiaro,
ma nel modo con cui l’invito viene fatto. Una chiesa di avvisi
è ricca, efficiente, capace di seminare: ma quanto raccoglierà?
Una chiesa di avvisi cura molto l’aspetto esteriore, l’immagine.
È una chiesa davvero capace di catturare l’attenzione: ma quanto
contagerà il prossimo secondo lo Spirito della Parola?
Pretendere
di rispondere a queste domande è un po’ da presuntosi, è vero,
ma le domande sono spontanee e viene veramente da chiedersi se
sia meglio schierarsi dalla parte della chiesa degli avvisi o
da quella degli inviti. In realtà noi non sappiamo quanto sarà
capace di fare bene la chiesa degli inviti rispetto a quella degli
avvisi, però sappiamo in cosa si differenziano. È semplice: la
chiesa degli avvisi punta tutto sull’avviso, mentre quella degli
inviti sull’invito. Ma un avviso non è un invito. Un avviso è
generico, vale per tutti. Un invito è personale, vale solo per
te. Certo, lo rivolgi a tutti, ma a contrario di un avviso non
è un cartello indicativo, è il tuo modo per entrare in relazione
con l’altro, per fargli capire che all’altro ci tieni, che lo
pensi e che hai pensato apposta per lui questa bella cosa.
Tutto questo per raccontare un fatto che mi è successo domenica
scorsa alla fine della Messa: un ragazzo del nostro gruppo adolescenti
mi ha chiesto: «Domani c’è la pizza? Ho pensato di invitare una
mia amica che è da parecchio che non frequenta oratorio e chiesa
e vorrebbe ricominciare, però non so se verrà sempre… ho fatto
bene?». Sono contento perché questo ragazzo, che interviene spesso
con interessanti condivisioni e altrettanto spesso si distrae
con facilità (tanto che gli lancio delle terribili occhiate) mi
ha ricordato la cosa essenziale della testimonianza, sia per noi
credenti sia (e soprattutto) per il nostro rapporto con i “lontani”.
Ora lo stimo molto di più, perché ha capito che per essere testimoni
di Gesù non basta essere cristiani, ma scegliere anche se essere
chiesa dell’avviso o dell’invito. Perché se scegli la prima, ti
viene da pensare che tu dell’avviso puoi essere solo il destinatario
e non, almeno qualche volta, il pensatore. Se invece scegli la
seconda, allora intuisci che è bello invitare, perché anche tu
sei stato invitato da qualcun altro. Insomma, la fede è anzitutto
un fatto personale, ma che tristezza se non ci fosse l’aspetto
della comunione, della condivisione! Dunque la testimonianza non
è una questione di avvisi e di annunci, ma di inviti.
Spesso
si ha l’impressione che della testimonianza si debbano occupare
solo i “tecnici” (preti, gruppo missionario, catechiste) come
se fosse una questione per “addetti ai lavori”. Ma la chiesa non
è un azienda dove si delegano precisi compiti a determinati funzionari.
La chiesa ha bisogno di essere organizzata, è vero, ma non è un
organizzazione. La chiesa per compiere i suoi obiettivi istituzionali
ha bisogno di arrivare al cuore delle persone, non di progettare
strategie aziendali. Ecco perché Gesù ha detto “là dove due o
tre sono riuniti nel mio nome lì c’è Dio”, perché ha voluto affermare
che la chiesa nasce dall’incontro e solo di altri incontri può
vivere e crescere.
Credo
sia bello ringraziare il “ragazzo dell’invito”, perché con il
suo semplicissimo gesto può fare del bene anche a ciascuno di
noi, facendoci pensare a come vogliamo essere chiesa. Perché la
trasmissione della fede non è delegabile a nessun gruppo e a nessun
esperto teologo, ma è una questione che riguarda tutti, proprio
tutti. Da Marco, bambino un po’ vivace che gioca a calciobalilla
col compagno di classe, all’anziana signora Pia (di nome e di
fatto) che ogni sera prega devotamente il Santo rosario.
Costa
ARTE
E ROCORDI
In
occasione della Fiera del Libro di Natale vogliamo ricordare la
signora Erica Papette, mamma della nostra parrocchia, tragicamente
scomparsa nell’incidente stradale in viale Abruzzi lo scorso agosto.
Artista e moglie di artista esporremo alcuni suoi lavori e alcune
opere del marito (queste ultime sono anche in vendita).
L’esposizione è nello spazio dell’oratorio entrando da via Nöe
negli orari della Fiera del libro: sabato 24 novembre e domenica
25 dalle 9.30 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00.
Originario
della Rep. Dem. del Congo, di nazionalità italiana, ha frequentato
l'Accademia d’Arte di Lubumbashi (Congo) e successivamente si
è diplomato all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, dove
era allievo di Pisani. Ha conseguito numerosi premi e significativi
riconoscimenti di critica e di pubblico. La sua intensa attività
artistica si estrinseca nella costante ricerca di nuove forme
espressive dei temi favoriti, ispirati alla sua Africa.
Hanno
scritto di lui:
“Le possibili linee di evoluzione formale e tecnica che si profilano
nei dipinti di Kabemba rivelano inflessioni dovute all'arte europea
e all'incontro della cultura africana con la civiltà moderna.”
G. Gentile
“Penetra
nel colore dando vita alla materia, esprimendone, per chi lo vede
lavorare, l'autenticità di un mondo ancora più vero e reale, dando
la possibilità a chi contempla le sue opere di capire e avvicinarsi
allo Zaire e ai paesi africani con un pensiero e un linguaggio
familiare e rispettoso.” B. Rosa
“Sono
sempre più numerosi i pittori africani che scelgono il nostro
paese, tra questi il più significativo è Kabemba Situna, laureato
all'Accademia d'Arte di Brera di Milano. Rappresentante dei pittori
africani in Italia, definisce i suoi quadri come un tentativo
di riconciliare le due culture di cui si sente parte.” M. Caracciolo
(da "Epoca n°2009 del 9 aprile 1989)
MELEL
XOJOBAL. LUCE VERITIERA
Tra
le iniziative che la nostra parrocchia ci propone per vivere il
Natale in sintonia con il Mistero che celebriamo – quello di un
bambino, che entra poveramente nella storia – quest’anno abbiamo
scelto di appoggiare un’associazione di San Cristóbal de Las Casas
(Chiapas, Messico), che – tra l’altro – si prende cura dei più
poveri tra i poveri: i bambini indigeni che vivono per le strade
con le loro famiglie.
In realtà, il Gruppo “Oscar Romero”, presente mensilmente nella
nostra parrocchia con il Banchetto Equo-Solidale, è legato a Melel
Xojobal (parola tsotsil che significa “luce veritiera”) da una
lunga amicizia, da quando cioè nel 1998 conobbe mons. Samuel Ruiz,
vescovo di quella città.
Melel Xojobal muoveva allora i primi passi, essendo stata fondata
il 2 febbraio 1997. Compito dell’associazione è di accompagnare
le comunità indigene, urbane e rurali, perché, dalle loro identità
e autonomie, incrementino i propri processi di crescita e sviluppo
nelle dimensioni culturali, educative e della comunicazione alternativa.
Per conseguire tali obiettivi Melel Xojobal si è strutturata in
due aree di lavoro. L’una, chiamata BATS'I K'OP-AYEJ, sorta in
considerazione della condizione d’isolamento ed emarginazione
in cui, da secoli, sono tenute quelle popolazioni, cerca di offrire
qualche possibilità di recuperare e potenziamento della propria
esperienza e capacità di comunicare, tra essi stessi e all'esterno.
L'altra, NICH K'OK', concentra appunto la propria attenzione sui
bambini e le bambine indigene che stanno per le strade. L’obiettivo
in questo caso è favorire lo sviluppo della loro identità e formazione
umana, partendo dalle radici etniche e culturali delle diverse
etnie cui appartengono. Compito realizzato mediante differenti
progetti.
Melel
Xojobal si caratterizza dunque per essere uno spazio di lavoro
interculturale dove, movendo dalla riflessione e dall'analisi
della realtà, si costruiscono spazi culturali e pedagogici, i
cui obiettivi siano il rispetto alla diversità religiosa, politica
e culturale. Riprendendo perciò lo stile che ci ha caratterizzato
negli ultimi anni e rinunciando all’uso di manifestare auguri
e affetto soltanto nella logica, ormai fuori controllo, del consumismo,
la proposta è di regalare invece un “gesto di solidarietà”.
Concretamente
faremo così: a chi vorrà partecipare, portando in Segreteria parrocchiale
il proprio contributo, corrispondente al regalo (o regali) che
desidera fare, sarà consegnato uno o più sacchetti con un pacchetto
di caffè del Commercio Equo del Messico (Uciri), un segnalibro
di Melel Xojobal e un depliant con la presentazione del progetto.
La raccolta e distribuzione inizieranno da domenica 18 novembre.
Il
Gruppo “Oscar Romero”
FIERA
DEL LIBRO
Sabato
24 e domenica 25 novembre
in Oratorio
dalle 9.30 alle 13 e dalle 15 alle 19
Per
i vostri regali di Natale…
Novità editoriali, grandi classici, libri per bambini
testi di riflessione e studi biblici
VENDITA
DI PRODOTTI
DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
sabato
17 e domenica 18 novembre
da sabato 15 dicembre a domenica 23 dicembre
ingresso da via Nöe
da lunedì a venerdì: dalle ore 16 alle 18
sabato: dalle ore 17.30 alle ore19
domenica: dalle ore 9 alle 13 e dalle ore 17 alle 19
FIERA
BENEFICA A CURA DELLA S. VINCENZO
Per essere solidali con i fratelli più bisognosi della nostra
comunità
Da
sabato 1° dicembre a domenica 9 dicembre
ingresso da via Nöe
sabato 1: dalle ore 16 alle ore 19
da lunedì a sabato: dalle ore 10 alle 12 e dalle ore 16 alle 19
festivi: dalle ore 9 alle 13 e dalle ore 16 alle 19
IL
NOSTRO NATALE
Sabato
15 dicembre ore 17,30
Per i ragazzi ritrovo in oratorio
ORE 18.00 S. MESSA DEI LUMI
Lunedì
17 dicembre ore 19,30
Cena e preghiera di Natale per tutti i ragazzi delle medie, superiori
e università
Lunedì
17 - martedì 18 – mercoledì 19 - giovedì 20 dicembre ore 17.00
in Chiesa
Preghiera di preparazione al Natale per i ragazzi del catechismo
L’oratorio
rimarrà chiuso dal 22 dicembre al 6 gennaio inclusi
LUNEDÌ 24 dicembre
Dalle ore 16 i sacerdoti sono disponibili per le confessioni
ORE 18.00 S. MESSA DELLA VIGILIA
ORE 23.30 VEGLIA DI NATALE CON CONCERTO
ORE 24.00 S. MESSA NELLA NOTTE SANTA
SEGUIRÀ IN ORATORIO LO SCAMBIO DEGLI AUGURI
MARTEDÌ
25 DICEMBRE NATALE
Le S. Messe seguono l’orario festivo
MERCOLEDÌ
26 dicembre S. Stefano
Le S. Messe saranno alle ore 8.30 - 11 - 18
Le
S.Messe feriali seguono l’orario consueto
LUNEDÌ
31 dicembre alle ore 18.00
S. Messa con il canto del Te Deum
MARTEDÌ
1° gennaio 2013
Le S. Messe saranno alle ore 8.30 - 11 - 18
alla S. Messa delle ore 18.00 il canto del Veni Creator
DOMENICA
6 gennaio Epifania
Si riprende il consueto orario festivo: 8,30 - 10 - 11 - 12 -
18
|
Nella
Comunità parrocchiale:
|
hanno
ricevuto il battesimo
VIOLA
INNOCENTI
MATTIA OLIVITO
GIULIA MARIA ROMAGNESI
RICCARDO SIGNORIELLO
SAMUELE SIGNORIELLO
BIANCA FILIPPA TELLOLI
FEDERICO ZEMA
FILIPPO MARIA PIGOZZI
LEONARDO GIOFRÈ
GIULIO SONVICO
abbiamo
affidato ai cieli nuovi e alla terra nuova
MARIA
BASVECCHI (a. 99)
BIANCA MARIA CARBONI (a. 77)
DIANA BELLIATO (a. 77)
MARIO GASPERINI (a. 80)
IDA MANDELLI (a. 93)
DOMENICA ROCCA (a. 48)
ERMANNO BOTTELLI (a. 79)
MARIA MORI (a. 86)
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